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Cosa succede al prezzo del gas con le minacce di chiusura dello Stretto di Hormuz

Il possibile blocco dello Stretto di Hormuz, passaggio cruciale per gran parte del gas e del petrolio mondiali, rappresenta una minaccia evidente per i prezzi energetici globali. Questa importante rotta marittima collega il Golfo Persico al resto del globo, gestendo circa il 20 per cento del petrolio esportato ogni giorno. La tensione crescente in quella regione dopo l’attacco degli Stati Uniti all’Iran ha acceso preoccupazioni su interruzioni forzate, che si rifletterebbero inevitabilmente sui mercati del gas, determinando rincari immediati e influenzando costi delle bollette domestiche. Oggi apertura in rialzo per le quotazioni del gas ad Amsterdam, con un incremento del 2% che porta i prezzi a 41,90 euro al megawattora.

Ruolo strategico dello Stretto per il commercio energetico

Lo Stretto di Hormuz rappresenta uno dei nodi più critici per le forniture di gas naturale liquefatto (GNL) e petrolio verso Europa, Asia e Stati Uniti. Una sua chiusura – totale o parziale – limiterebbe l’accesso ai terminali del Golfo, costringendo i fornitori a rimodulare i flussi energetici. In termini generali, il gas europeo potrebbe subire contraccolpi indiretti derivati dall’aumento del petrolio, destinato a spingere verso l’alto i costi dell’energia e del combustibile. Infatti, anche se il GNL non transita direttamente attraverso Hormuz, molti contratti sono indicizzati al prezzo del petrolio; dunque l’effetto sulle altre commodity energetiche sarebbe amplificato.

Le tensioni nel Golfo spesso innescano una propensione degli operatori per il gas a coprire l’esposizione, aumentando la domanda di riserve o diversificando le rotte. Paesi importatori di GNL, come l’Italia, dispongono di tanti terminali rigassificatori e contratti con paesi lontani, ma possono comunque risentire di un aumento dei noli marittimi e dei premi di rischio. La rinegoziazione delle forniture, già in atto in passato in occasione di crisi geopolitiche, tende a generare incrementi immediati nei prezzi spot, che poi si trasmettono alle borse energetiche europee e alle tariffe al consumatore.

Un ulteriore effetto si osserva sui mercati dei derivati: future sul gas e sul petrolio reagiscono in tempo reale alle minacce sulla navigabilità, con il rischio che aumenti il costo dei turbos o altri strumenti finanziari correlati. L’aumento dell’incertezza spinge le aziende e i gestori di impianti a incrementare le scorte preventive, con effetto a catena sui prezzi di breve termine, spesso anticipato nei mesi successivi.

Impatto sui consumi industriali e domestici

Nel breve periodo, ogni incremento significativo dei prezzi del gas si riflette sui costi sostenuti da industrie energivore, centrali elettriche e imprese chimiche. La componente energetica rappresenta una quota rilevante nei costi operativi annuali, per cui un innalzamento delle quotazioni può tradursi in sospensione di produzione, aumenti nei prezzi dei beni finiti o spostamenti produttivi verso paesi con costo energetico minore. Queste dinamiche possono influenzare l’inflazione e la competitività della manifattura europea.

Per i consumatori domestici, un aumento delle tariffe alimentate dal metano o dal GNL si ripercuote direttamente sulle bollette. L’incertezza sulla situazione del golfo preme sui contratti di fornitura a lungo termine, che spesso includono clausole di adeguamento al mercato spot. Nell’ipotesi di un rialzo superiore al 20 per cento, anche il prezzo del gas in bolletta può subire incrementi significativi, con ricadute in particolare per famiglie e strutture energivore quali ristoranti, alberghi e servizi pubblici.

D’altra parte, le strategie nazionali di approvvigionamento con volumi pre-acquistati, insieme a impianti di stoccaggio, forniscono un cuscinetto temporaneo. L’Italia vanta infatti scorte equivalenti a diverse settimane di consumo; tuttavia i mercati spot restano influenzati, e non è escluso che la pressione prezzi finisca per trasmettersi in bollette future, anche in presenza di misure di calmieramento governativo.

Prospettive a medio e lungo termine

A medio termine, se la crisi dovesse protrarsi e diventare strutturale, i prezzi del gas potrebbero stabilizzarsi su livelli storicamente elevati. Ciò richiederebbe una revisione delle politiche energetiche, con maggiore enfasi su efficienza, rinnovabili e autosufficienza. Al contrario, un rapido accordo diplomatico o un rallentamento delle attività navali nella regione consentirebbe un ritorno a quotazioni normali entro pochi mesi, sfruttando le scorte esistenti e la capacità infrastrutturale europea.

A lungo termine, la transizione energetica tende a limitare la sensibilità dei mercati alle crisi geopolitiche. Maggiore penetrazione di energia rinnovabile riduce la correlazione con le materie prime fossili. Tuttavia, fino a quando il gas continuerà a rappresentare una quota rilevante del mix energetico, le tensioni dello Stretto di Hormuz resteranno un fattore di rischio da gestire.

Le minacce di chiusura dello Stretto di Hormuz si riflettono in aumento del prezzo del gas e del petrolio, con ripercussioni sui costi industriali e domestici. Sebbene esistano strumenti difensivi e riserve strategiche, la situazione richiede attenzione continua e promuove una crescente spinta verso rinnovabili ed efficienza.

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