La scabbia è una patologia dermatologica causata dall’acaro Sarcoptes scabiei, che scava cunicoli nella pelle per impiantare le uova. La malattia, storicamente nota ma spesso sottovalutata nei Paesi sviluppati, ha registrato un aumento significativo in Italia negli ultimi mesi. L’incremento dei casi, insieme alla complessità dei sintomi e della trasmissione, rende fondamentale informarsi in modo chiaro e preciso. Ecco allora quali sono i sintomi della scabbia e le cause alla base del recente boom di casi in Italia.
Sintomi caratteristici della scabbia
Il sintomo più diffuso e precoce della scabbia è un prurito intenso, che tende a peggiorare durante la notte. Questa reazione è il risultato di una risposta immunitaria al passaggio dell’acaro sotto la pelle, con rilascio di istamina da parte dell’organismo. Oltre al prurito, compaiono spesso piccole papule rossastre o vescicole in zone tipiche del corpo, come tra le dita, ai polsi, sui gomiti, intorno all’ombelico, nei genitali e ai piedi.
Questo insieme di segnali è indicativo di una dermatite da infestazione parassitaria, ed è associato alla presenza di cunicoli: strutture epidermiche lineari o a forma di S dove l’acaro depone le uova.
Il corso naturale della malattia varia a seconda della sensibilizzazione della persona colpita. Nelle persone infettate per la prima volta, i sintomi si manifestano tra due e sei settimane dopo il contatto, mentre i recidivi possono riconoscerli dopo pochi giorni. In alcuni casi, specie in soggetti anziani o immunocompromessi, può svilupparsi la forma più grave, nota come scabbia crostosa o norvegese, che si caratterizza per estese aree soggette a croste, ipercheratosi e presenza massiva di acari.
Modalità di trasmissione e diagnosi
La scabbia si trasmette principalmente attraverso un contatto diretto e prolungato tra la pelle di persone infette e quella di altri individui, come può avvenire tra partner, membri della stessa famiglia o persone che vivono in comunità. Può verificarsi anche un contagio indiretto, tramite il scambio di biancheria, vestiti o lenzuola contaminati. Il rischio aumenta in ambienti sovraffollati o a scarsa igiene come Rsa, dormitori, scuole, ospedali e comunità.
La diagnosi si basa sulla valutazione clinica: la presenza del prurito notturno, associata alle lesioni tipiche, permette al dermatologo di formulare un sospetto. In alcuni casi è possibile confermare l’infestazione osservando i cunicoli con tecniche come la colorazione cutanea o la dermatoscopia. La diagnosi è particolarmente accurata quando vi sono sintomi in più individui dello stesso nucleo familiare o comunità.
Terapie efficaci e precauzioni consigliate
Il trattamento di prima scelta della scabbia prevede l’applicazione topica di crema a base di permetrina al 5 %, da stendere su tutto il corpo, dal collo in giù, e lasciata agire per almeno 8-14 ore, in genere associata a un secondo trattamento dopo una settimana per sicurezza. Tuttavia, negli ultimi tempi si è osservata una resistenza in crescita dell’acaro alla permetrina, soprattutto in alcune regioni italiane, con conseguente diminuzione dell’efficacia terapeutica.
Nei casi meno comuni o gravissimi, come la scabbia crostosa, viene impiegata l’ivermectina per via orale. Diversi studi hanno dimostrato che la combinazione di ivermectina e permetrina può risultare efficace in pazienti con forme refrattarie.
Oltre alla terapia farmacologica, è fondamentale trattare contemporaneamente tutti i contatti stretti e adottare misure igienico-sanitarie rigorose: lavare biancheria e indumenti a 60 °C, disinfettare l’ambiente e isolare, se possibile, chi è stato infettato.
Perché i casi di scabbia sono esplosi in Italia
Negli ultimi tre anni l’Italia ha registrato un drammatico incremento dei casi di scabbia, con un picco del 750 % nelle regioni di Lazio ed Emilia-Romagna tra il 2020 e il 2023. Gli esperti della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST) definiscono il fenomeno una minaccia emergente per la salute pubblica.
Uno dei fattori principali è il post pandemia da Covid‑19: i lockdown hanno creato ambienti sovraffollati in condizioni igienico‑sanitarie compromesse. Allentate le restrizioni, la ripresa dei viaggi, del turismo di massa e la frequentazione collettiva di spazi come RSA, scuole e ospedali hanno favorito rapidamente la diffusione del parassita.
Un ulteriore elemento significante è la comparsa di acari resistenti alla permetrina. Studi in corso riportano mutazioni genetiche dell’acaro che riducono l’efficacia di questa terapia topica, con casi documentati anche in Germania, Spagna, Regno Unito e Turchia.
Soggetti a rischio e implicazioni sanitarie
I gruppi maggiormente colpiti includono bambini, adolescenti e anziani, in particolare quelli ospitati nelle RSA e persone in condizioni di fragilità socio-sanitaria, come senzatetto e migranti. Queste categorie spesso vivono in situazioni di coabitazione, affollamento, igiene insufficiente o accesso limitato ai servizi sanitari, condizioni che favoriscono la diffusione.
Le scuole e le palestre sono particolarmente a rischio perché richiedono contatti prolungati pelle su pelle tra bambini e adolescenti, aumentando la probabilità di trasmissione. Anche le strutture sanitarie, con frequenti ingressi e dimissioni di pazienti e operatori, rappresentano un ambiente favorevole alla formazione di focolai.
Cosa fare per prevenire e contenere il contagio da scabbia
Per ridurre la diffusione della scabbia, è indispensabile intervenire tempestivamente. Qualora compaia prurito persistente notturno o lesioni cutanee suggestive, è necessario rivolgersi rapidamente a un medico. L’automedicazione o l’uso di rimedi empirici rischiano di ritardare la diagnosi e favorire il contagio.
È inoltre importante informare e trattare tutti i contatti stretti, anche se asintomatici, e lavare i tessuti personali ad alta temperatura. Le strutture comunitarie devono adottare protocolli di isolamento temporaneo e disinfestazione degli ambienti, in accordo con le linee guida di sanità pubblica.
Il monitoraggio clinico e la ricerca continua delle resistenze farmacologiche risultano essenziali. L’aggiornamento delle terapie topiche e orali, con alternative come ivermectina o benzile benzoato, può contenere la diffusione, purché accompagnato da un uso corretto e coordinato.